A Rita levi Montalcini.
Cara Rita,
scienziata donna,
che hai creduto, nella tua lunga vita,
alla scienza, alla curiosità, alle donne,
all'NGF (Nerve growth factor)
che ti donato il Nobel.
Sei andata via,
silenziosamente,
perché il tuo corpo umano ha detto “basta”
e ci hai lasciato,
indenne,
il tuo sorriso,
che non era allegria,
ma convinzione di una vita da vivere
con il cervello “vivo”,
senza ironia.
Il tuo laboratorio
nel sottoscala,
nascosta al mondo
del nazismo nero,
ti ha poi condotta alla scienza,
alla gloria.
Chissà se dentro l’anima
ricca, di studiosa,
credevi in Dio.
Chissà se la tua crisalide umana,
ti ha regalato,
le ali di una farfalla di energia.
C’era una volta la fantasia
quella che a sera ti accompagnava
in dolci sogni
e liberava
della tua vita la poesia.
La fantasia
delle novelle
che ti leggeva il tuo papà
e addormentava la tua ansietà.
C’era una volta la fantasia
che s’accendeva all’improvviso
in una musica immaginata,
in un racconto o una elegia.
Ma stenta a vivere
la fantasia
In questo mondo globalizzato
Dove quel giusto
poco che sia
viene coperto
dal verso sbagliato.
Al piccolo Diego
Pensavo a Pascoli ed ai capelli
biondi del suo amico fanciullo
cui la madre pettinò la testa
abbandonata sul cuscino
e poi pensavo a te, allievo mio
bambino
cui l’atroce malattia
curata inutilmente con la chemioterapia,
tolse anche la chioma
di fanciullo
e a scuola, quando stavi un poco meglio,
venivi calvo come un vecchierello
e serio, di una assai triste serietà.
“Meglio venirci con la testa bionda…”
dicevi tu, poeta prediletto,
ma oggi, al bambino morto
non è dato tenere stretto al petto
né il giocattolo della sua innocenza
né la fanciulla forma dell’aspetto.
Scritta in viaggio con gli allievi (26/04/2005).